EDUCAZIONE:
Il lavoro e le opere: espressione totale di sé
A
cura di Giovanna Corazza
Il lavoro: spesso
lo subiamo, lo tolleriamo, ci adattiamo perché ci occorre lo
stipendio. Il suo significato è solo questo o cè un
significato più vero?
Seguiamo
don Giussani.
Il lavoro è
lespressione totale della persona. Se quel che abbiano
detto prima è giusto, cioè in quanto luomo è rapporto
con linfinito, con leterno, col Mistero si
può dire così: rapporto col Mistero , per spiegare
di più la realtà, la verità di quanto dico-, allora il lavoro
veramente prende tutto e tutte le espressioni della persona. Si
chiama lavoro tutto ciò che esprime la persona come rapporto con
linfinito.
Perché per il
muratore o il minatore i gesti che fanno, mettendo su un mattone
o zappando un sotterraneo, sono rapporto con Dio: per questo
devono essere rispettati, per questo devono essere oggetto di
giustizia reale e di amore anche, e quindi di aiuto. Perché?
Perché sono lavoratori e perciò sono esseri chiamati ad amare
Cristo: Perché cè questo nesso tra amare Cristo e
il lavoro? Perché il lavoro è la forma espressiva della
personalità umana, del rapporto che luomo ha con Dio (Gesù
definisce Dio leterno lavoratore) [
.].
Essendo dunque,
il lavoro lespressione della persona con le cose e la
realtà presente, è lamore a Cristo che rende più capaci
di lavorare È una cosa totalmente diversa quando uno va al
lavoro per amore di Cristo, quando uno nella memoria di Cristo
lavora: cè unattenzione alla totalità, una finezza
nel giungere a tutti i capillari, una pazienza
nellampliarsi del tempo, un rispetto, perciò, del tempo
che ci vuole, e poi una non mormorazione, un non lamento delle
circostanze che ti fanno diventare sgradito il particolare [
].
Comunque, il
rapporto con Cristo decide della verità del lavoro: con
qualsiasi cosa. Il lavoro è lespressione delluomo
che usa , manipola tutto ciò che gli sta attorno.
Innanzitutto
il proprio corpo, la moglie, i figli, la mamma, il papà: tutto
è lavoro, perché è espressione dellio. Se questa espressione
dellio è vissuta nella memoria di Lui, allora diventa
tutto diverso, è destinato a diventare tutto diverso. Quante
volte uno mi dice: «Ma cè un mio compagno di
lavoro che è stato colpito da quel che dico o
da quel che faccio o dal mio atteggiamento, e mi ha detto:
Ma come mai sei così?».
Questa è la
domanda che tutti fanno prima di rassegnarsi a essere cristiano
come noi: «Come fate a essere così?».
Perciò il
lavoro , in tutta la sua gamma, è proporzionale allamore a
Cristo. Ma è vero anche linverso: che lamore a
Cristo rigenera tutto il nostro lavorare. Lamore a Cristo, cioè,
non è vero, se non interviene in qualche modo nella grande
come dire kermesse del nostro lavoro. Ma il lavoro
non si può amare, se non si ama Cristo: il lavoro si
subisce, si tollera; ci si adatta («perché devo prendere i
soldi al ventisette del mese»).
(L. Giussani in
Lio, il potere, le opere, Marietti, Genova 2000, pp. 69-76)
Ecco ora la
testimonianza di un giovanissimo che ha sperimentato cosa
vuol dire lavorare secondo quanto afferma don Giussani
«Sto per
iniziare il quinto anno delle superiori. Con un gruppetto di anici
ho iniziato a lavorare subito dopo la vacanzina nellalbergo
di Borca di Cadore. Non volevamo lasciar scivolare via ciò che
di bello avevamo appena visto e, su suggerimento di don
Antonio, abbiamo iniziato a fare Scuola di comunità(1): Avevo
bisogno che ci trovassimo insieme perché non volevo che il
lavoro fosse una sfortuna, perché io voglio essere felice sempre.
Tu ci hai più volte ripetuto che Cristo è la mia felicità
adesso oppure è una favola. Non mi andava di dover faticare 55
giorni per una immaginaria felicità futura, io volevo godere del
lavoro senza dover aspettare la birra della sera per sentirmi
finalmente appagato per dieci minuti. Abbiamo poi iniziato a dire
lAngelus tutti insieme la mattina, dopo la colazione dei
clienti.
Mi ha stupito
e mi stupisce tuttora, ripensandoci, come una semplicissima, ma
tenace fedeltà allAngelus e alla Scuola di Comunità abbia
potuto cambiare radicalmente il nostro modo di lavorare e le
persone che condividevano con noi questa fatica. Alla terza
Scuola di Comunità cera tutto il personale, direttore e
vicedirettore compresi, a confrontarsi sulla concezione del
lavoro che ci insegna don Giussani. Una sera, mentre ero in una
cella frigorifera per prendere delle verdure, è entrato in aiuto
cuoco e mi ha detto: <<Ho visto il cartello che mettete in
sala mensa per invitare tutti alla Scuola di comunità.
Cosè? Vorrei venirci, potete cambiare lorario? A quellora
lavoro>>.
Dal giorno
dopo è sempre venuto allAngelus e alla Scuola. Una
settimana dopo lo accompagna una cuoca: Mi ha detto che pregate
la mattina. Posso?>>. Cinquantenne, non è mai
mancata una volta. Non contenta, ha chiesto se una cosa
così esisteva anche a Belluno, per poterla continuare
finita la stagione. La mia ultima sera siano andati, un gruppetto
di amici, a vedere le stelle da un prato sotto lalbergo:
Dopo mezzoretta, infreddoliti, assonnati, abbiano deciso di
tornare a letto. Lungo la strada laiuto cuoco mi ferma e mi
dice: Dopo una serata così bella devi farmi un favore : facci
dire lAngelus>>. Geniale. È impressionante come siano
bastati dei gesti semplicissimi per spostare il nostro sguardo
del nostro ombelico a ciò che cè, che accade ogni istante.
Ho imparato che non dobbiamo cambiare noi stessi. Non avremo mai
i compagni di scuola perfetti, i professori perfetti, gli amici
perfetti, la ragazza perfetta, materie da studiare che ci
piacciono sempre.
Se aspettiamo
che il mondo cambi per concedervi il lusso di cambiare, saremo
sempre degli utopisti. Lavorare è stato stupendo perché ho
avuto la grazia di incontrar persone che, quando le saluti, non
puoi che dire <<grazie>> e laltro ti risponde
sorridendo <<e di che cosa?>> e sia tu che lui capite
che dovete ringraziare un Altro. Adesso per fortuna si riparte.
Marco,
Brescia
(Testimonianza
tratta dal libro Caro don Giussani Dieci anni
di lettere a un padre A cura di Davide Perillo)
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(1)
Incontri periodici di catechesi