PARROCCHIA S. GIOACCHINO
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VEGLIA DI PREGHIERA in preparazione
all’ ORDINAZIONE DIACONALE
di
MASSIMO CRABOLEDDA
10 FEBBRAIO 2012
CANTO - ESPOSIZIONE
SANTISSIMO SACRAMENTO
INTRODUZIONE:
Il Signore ama la
sua Chiesa avendole assicurato la sua presenza fino alla fine dei tempi. Per
questo, l’abbellisce e l’arricchisce di doni e di carismi,
distribuendoli ai suoi figli, chiamandoli personalmente a collaborare
all’annuncio del Regno.
Questa sera la nostra
comunità parrocchiale veglia in gioiosa preghiera, perché la voce del Signore è
giunta a Massimo.
Ben consapevole che non
insegue onorificenze e gratificazioni personali, ma, riconoscente di tale dono,
sa di essere stato pensato ed amato dal Signore, chiamato a corrispondere a questo amore unico da condividere solo nell’amore ai
fratelli, privilegiando i poveri, gli umili, i piccoli, cercando l’ultimo
posto, nell’umiltà, considerando gli altri superiori a sé, nella fedeltà
al servizio, sapendo di essere servo inutile … dopo aver fatto solo ciò
che gli è stato comandato di fare.
Preghiamo perché tali
sentimenti, che sono i sentimenti di Gesù, accompagnino
Massimo per tutta la vita. Imploriamo dalla Beata Vergine di San Luca di poter
vivere sempre questi sentimenti nella famiglia, nella chiesa, nel lavoro, in
ogni azione della nostra vita. Guardando a Lei seguiamo Gesù Signore che è
venuto per servire e non per essere servito.
Beato
GIOVANNI PAOLO II: UDIENZA
GENERALE del Mercoledì, 6 ottobre 1993
1. Accanto ai
Presbiteri vi è nella Chiesa un’altra categoria di ministri con mansioni
e carismi specifici, come ricorda il Concilio di Trento quando tratta del
sacramento dell’Ordine: “Nella Chiesa Cattolica vi è una gerarchia,
istituita per ordinazione divina, che si compone di Vescovi Presbiteri e
Ministri” (Denz. 1776). Già nei libri del Nuovo
Testamento è attestata la presenza di ministri, i “Diaconi”, che progressivamente si
configurano come categoria distinta dai “Presbiteri”, e dagli
“Episcopi”. Basti qui ricordare che Paolo rivolge il suo saluto agli Episcopi e ai Diaconi di Filippi (cf. Fil 1, 1). La prima Lettera a
Timoteo enumera le qualità che devono possedere i Diaconi, con la
raccomandazione di sottoporli alla prova prima di affidare ad essi le loro funzioni: essi devono avere una condotta degna
e onesta, essere fedeli nel matrimonio, educare bene i loro figli e dirigere
bene la loro casa, conservare “il mistero della fede in una coscienza
pura” (cf. 1
Tm 3, 8-13).
Negli Atti degli Apostoli
(At 6, 1-6) si parla di sette “ministri”
per il servizio delle mense. Pur non risultando
chiaramente dal testo che si trattasse di una ordinazione sacramentale dei Diaconi, una lunga tradizione ha
interpretato l’episodio come prima testimonianza dell’istituzione diaconale. Alla fine del I secolo
o all’inizio del II il posto del Diacono è ormai ben stabilito, almeno in
alcune Chiese, come grado della gerarchia ministeriale.
2. In particolare, è
importante la testimonianza di sant’Ignazio di Antiochia, secondo il quale la
comunità cristiana vive sotto l’autorità di un Vescovo, circondato da
Presbiteri e da Diaconi: “Vi è una sola Eucaristia, una sola carne del
Signore, un solo calice, un solo altare, come vi è anche un solo Vescovo con il
collegio dei Presbiteri e i Diaconi, compagni di servizio” (Ad Philad.,
4,1). Nelle lettere di Ignazio i Diaconi sono sempre
citati come grado inferiore nella gerarchia ministeriale: un Diacono è lodato
per il fatto “di essere sottomesso al Vescovo come alla grazia di Dio, e
al Presbitero come alla legge di Gesù Cristo” (Ad Magnes., 2). Tuttavia Ignazio sottolinea la grandezza del ministero del Diacono, perché è
“il ministero di Gesù Cristo che era presso il Padre prima dei secoli e
si è rivelato alla fine dei tempi” (Ad
Magnes., 6, 1). Come “ministri dei misteri
di Gesù Cristo” è necessario che i Diaconi “siano in ogni modo graditi a tutti” (Ad Trall., 2,
3). Quando Ignazio raccomanda ai cristiani l’obbedienza al Vescovo e ai
Sacerdoti, aggiunge: “Rispettate i Diaconi come un comandamento di
Dio” (Ad Smyrn., 8, 1).
Altre testimonianze troviamo in san Policarpo di Smirne (Ad Phil., 5, 2),
san Giustino (Apol., I, 65, 5; 67, 5), Tertulliano (De Bapt., 17,
1), san Cipriano (Epist. 15 e 16), e poi in sant’Agostino (De cat. rudibus,
I,c. 1, 1).
3. Nei primi secoli il
Diacono svolgeva funzioni liturgiche. Nella celebrazione eucaristica egli
leggeva o cantava l’Epistola e il Vangelo trasmetteva al celebrante
l’offerta dei fedeli, distribuiva la comunione e la portava agli assenti;
vegliava sull’ordine delle cerimonie e alla fine congedava
l’assemblea. Inoltre egli preparava i catecumeni al Battesimo, li
istruiva, e assisteva il Sacerdote nell’amministrazione di questo
sacramento. In certe circostanze battezzava lui stesso e svolgeva
un’attività di predicatore. E ancora, egli
partecipava all’amministrazione dei beni ecclesiastici, si occupava del
servizio dei poveri, delle vedove, degli orfani, e dell’aiuto ai
prigionieri.
Nei testimoni della
Tradizione è attestata la distinzione fra le funzioni del Diacono e quelle del
Sacerdote. Afferma, ad esempio, sant’Ippolito
(II-III secolo) che il Diacono è ordinato “non per il sacerdozio, ma per
il servizio del Vescovo, per fare ciò che egli comanda” (SCh, 11, p. 39; cf. Constitutiones Aegypt., III, 2: ed. Funk, Didascalia, p.
103; Statuta Ecclesiae Ant., 37-41: Mansi 3, 954). Di fatto, secondo il
pensiero e la prassi della Chiesa, il diaconato appartiene al sacramento
dell’Ordine, ma non fa parte del sacerdozio e non comporta funzioni
propriamente sacerdotali.
4. In Occidente,
com’è noto, il presbiterato venne prendendo col passare del tempo un
rilievo quasi esclusivo per rapporto al diaconato che, di fatto, si ridusse a non essere che un grado sulla via del sacerdozio. Non è
questa la sede per rifare il cammino storico e spiegare le ragioni di tali
variazioni: è piuttosto da sottolineare che sulle basi
dell’antica dottrina, nei nostro secolo si è fatta sempre più viva in
sede teologica e pastorale la coscienza dell’importanza del diaconato per
la Chiesa, e quindi dell’opportunità di un suo ristabilimento come Ordine
e stato di vita permanente. Anche il Papa Pio XII vi fece allusione, nella sua
allocuzione al secondo congresso mondiale dell’Apostolato dei laici (5
ottobre 1957), quando, pur affermando che l’idea di una reintroduzione
del diaconato come funzione distinta dal sacerdozio in quel momento non era
ancora matura, affermava però che poteva diventarlo e che in ogni caso il
diaconato sarebbe stato collocato nel quadro del
ministero gerarchico fissato dalla più antica tradizione (cf.
Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. IX, p.
458).
La maturazione avvenne
col Concilio Ecumenico Vaticano II, che prese in considerazione le proposte
degli anni precedenti e decise quel ristabilimento (cf.
Lumen Gentium,
29).
Fu poi il Papa Paolo VI a
porlo in atto disciplinando canonicamente e liturgicamente quanto riguardava
tale Ordine (cf. Sacrum Diaconatus
Ordinem: 18 giugno 1967;
Pontificalis Romani recognitio:
17 giugno 1968; Ad pascendum:
15 agosto 1972).
5. Le
ragioni che avevano fondato sia le proposte dei teologi, sia le decisioni
conciliari e papali erano principalmente due. Anzitutto
l’opportunità che certi servizi di carità, assicurati in modo permanente
da laici consapevoli di dedicarsi alla missione evangelica della Chiesa, si concretizzassero in una forma riconosciuta in virtù di una
consacrazione ufficiale. Vi era poi la necessità di supplire alla scarsezza di
Presbiteri, oltre che di alleggerirli di molti compiti non direttamente connessi
con il loro ministero pastorale. Non mancava chi vedeva nel diaconato
permanente una specie di ponte tra pastori e fedeli.
È chiaro che, attraverso
queste motivazioni legate alle circostanze storiche e alle prospettive
pastorali, operava misteriosamente lo Spirito Santo,
protagonista della vita della Chiesa, portando ad una nuova attuazione del
quadro completo della gerarchia, tradizionalmente composta di Vescovi,
Sacerdoti e Diaconi. Si promuoveva in tal modo una rivitalizzazione
delle comunità cristiane, rese più conformi a quelle uscite dalle mani degli
Apostoli e fiorite nei primi secoli, sempre sotto
l’impulso del Paraclito, come attestano gli
Atti.
6. Una esigenza
particolarmente sentita nella decisione del ristabilimento del diaconato
permanente era ed è quella della maggiore e più diretta presenza di ministri
della Chiesa nei vari ambienti di famiglia di lavoro, di scuola ecc., oltre che
nelle strutture pastorali costituite. Ciò spiega, tra l’altro, perché il
Concilio, pur non rinunciando totalmente all’ideale del celibato anche
per i Diaconi, ha ammesso che tale Ordine sacro possa essere conferito “a uomini di età matura anche viventi nel matrimonio”.
Era una linea di prudenza e di realismo, scelta per i motivi facilmente
intuibili da chiunque abbia esperienza della
condizione delle varie età e della situazione concreta delle diverse persone
secondo il grado di maturità raggiunto. Per la stessa ragione è stato poi
disposto, in sede di applicazione delle disposizioni
del Concilio, che il conferimento del diaconato a uomini sposati avvenga a
certe condizioni: come un’età non inferiore ai 35 anni, il consenso della
moglie, la buona condotta e la buona reputazione, una adeguata preparazione
dottrinale e pastorale ad opera di Istituti o di Sacerdoti specialmente scelti
a questo scopo (cf. Paolo VI, Sacrum Diaconatus Ordinem,
11-15: Ench. Vat., II, 1381-1385).
7. Va però notato che il
Concilio ha conservato l’ideale di un diaconato accessibile a giovani che
si votino totalmente al Signore anche con l’impegno del celibato. È una
via di “perfezione evangelica”, che può essere capita, scelta e
amata da uomini generosi e desiderosi di servire il Regno di Dio nel mondo,
senza accedere al sacerdozio, per il quale non si
sentono chiamati, e tuttavia muniti di una consacrazione che garantisca ed
istituzionalizzi il loro peculiare servizio alla Chiesa mediante il
conferimento della grazia sacramentale. Non mancano oggi di questi giovani. Per
essi sono state date alcune disposizioni, come quelle
che esigono, per l’ordinazione diaconale,
un’età non inferiore ai 25 anni e un periodo di formazione in un Istituto
speciale,“dove siano messi alla prova, educati a vivere una vita
veramente evangelica e preparati a svolgere utilmente le proprie specifiche
funzioni”, almeno per la durata di tre anni (cf.
Ivi, 5-9: Ench. Vat., II, 1375-1379). Sono
disposizioni che lasciano trasparire l’importanza che la Chiesa
attribuisce al diaconato e il suo desiderio che questa Ordinazione
avvenga a ragion veduta e su basi sicure. Ma esse sono
anche manifestazioni dell’ideale antico e sempre nuovo di consacrazione
di sé al Regno di Dio, che la Chiesa raccoglie dal Vangelo ed innalza come un
vessillo specialmente dinanzi ai giovani, anche nel nostro tempo.
Dal
Vangelo Secondo Marco (10, 35-45)
E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni,
i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello
che ti chiederemo». Egli disse loro: «Cosa volete che
io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere nella tua gloria uno
alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò
che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con
cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E
Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il
battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma
sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per
coloro per i quali è stato preparato». All'udire questo, gli altri dieci si
sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro:
«Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle
nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi
però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e
chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e
dare la propria vita in riscatto per molti».
Parola del Signore
Ass.
Lode a Te o Cristo
Da un Omelia del Vescovo Vincenzo Paglia
Marco riferisce un
dialogo tra Gesù e i due figli di Zebedeo, Giacomo e
Giovanni. Siamo ancora sulla strada verso Gerusalemme e, per la terza volta,
Gesù aveva confidato ai discepoli il destino di morte
che lo aspettava al termine del cammino. I due discepoli, per nulla toccati
dalle tragiche parole del Maestro, e con una notevole durezza di cuore, si
fanno avanti e chiedono a Gesù i primi posti accanto a lui quando instaurerà il
regno. Dopo la confessione di Pietro a Cesarea e la discussione su chi tra loro
fosse il primo, probabilmente è cresciuto un clima di
rivalità tra i discepoli; e questo forse spiega l'ambizione dei due fratelli
nel rivendicare i primi posti. Quanto è difficile per Gesù toccare i cuori di
quei dodici che pure si era scelti e curati! La verità è che essi sono davvero
distanti dal pensiero e dalle preoccupazioni di Gesù, e non riescono a
sintonizzarsi con lui. Non basta, infatti, stargli fisicamente vicino per
comprenderlo. È necessario ascoltare ogni giorno la sua parola e seguirlo in un
vero e proprio itinerario di crescita interiore. Quante volte, invece, dobbiamo
constatare la nostra povertà spirituale, la nostra
scarsa sapienza evangelica!
Di fronte alla pretesa
dei due discepoli Gesù risponde: "Voi non sapete ciò che domandate. Potete
bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono
battezzato?". Gesù vuole spiegare loro le esigenze del Vangelo attraverso
due simboli, il calice e il battesimo, che erano ben noti a chi come loro
frequentavano le Sante Scritture. […]I due discepoli probabilmente
neppure ascoltano le parole del Maestro e tanto meno ne comprendono il senso.
Del resto la parola evangelica, per essere ascoltata e compresa, richiede un
atteggiamento di ascolto e di preghiera. Ai due
apostoli non importa comprendere la Parola evangelica; quel che interessa è
l'assicurazione del posto o comunque l'attenzione alla
loro pretesa. E con sciocca semplificazione dicono: "Lo
possiamo!".[…] Era ovvio comunque che la
richiesta dei due figli di Zebedeo scatenasse
l'invidia e la gelosia degli altri discepoli ("si sdegnarono con Giacomo e
Giovanni", nota l'evangelista). Gesù allora li chiamò ancora una volta
tutti attorno a sé per una nuova lezione evangelica. Ogni volta che i discepoli
non ascoltano le parole di Gesù e si lasciano guidare dai loro ragionamenti, si
discostano dalla via evangelica e provocano liti e dissidi al loro stesso
interno. È istintiva nei discepoli, come del resto in ogni persona, la tendenza
a fare da maestri a se stessi, a essere autosufficienti,
sino al punto di fare a meno di tutti, persino di Gesù. Per il Vangelo è vero
l'esatto contrario: il discepolo resta sempre alla scuola del maestro, rimane
sempre uno che ascolta. E anche se dovesse occupare
posti di responsabilità, sia nella Chiesa che nella vita civile, resta sempre
figlio del Signore, ossia discepolo che sta ai piedi di Gesù.
Ecco perché Gesù raduna
nuovamente i Dodici attorno a sé e li ammaestra: "Sapete che coloro che sono ritenuti i capi delle nazioni le dominano, e
i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così".
L'istinto del potere – sembra dire Gesù – è ben radicato nel cuore
degli uomini, anche in quello di chi spergiura di non esserne sfiorato.
Nessuno, neppure all'interno della comunità cristiana, è immune da tale
tentazione (si potrebbe dire che lo stesso Gesù subì la tentazione del potere,
quando fu condotto dallo Spirito nel deserto). Non importa che si tratti del
"grande" o del "piccolo" potere; tutti ne subiamo il fascino. È normale fare considerazioni severe su coloro che hanno il potere politico, economico, culturale.
Forse però è più facile fare l'esame di coscienza agli altri che a se stessi,
in genere uomini e donne dal "piccolo potere". Non dovremmo tutti
chiederci quanto spesso usiamo in modo egoistico e arrogante
quella piccola fetta di potere che ci siamo ritagliati in famiglia, o a
scuola, o in ufficio, o dietro uno sportello, o per la strada, o nelle
istituzioni ecclesiali, o altrove? La scarsa riflessione in questo campo è
spesso fonte di amarezze, di lotte, di invidie, di
opposizioni, di crudeltà.
Ai suoi discepoli Gesù
continua a dire: "Tra voi non è così" (forse sarebbe più corretto
dire: "non sia così"). Non si tratta di una
crociata contro il potere, per favorire un facile umilismo
che può anche essere solo indifferenza. Gesù ha avuto potere ("insegnava
come uno che ha autorità", scrive Matteo 7, 29),
e lo ha concesso anche ai discepoli ("Diede loro potere sugli spiriti
immondi", si legge in Marco 6, 7). Il problema è di quale potere si parla,
e comunque di come lo si esercita. Il potere di cui
parla il Vangelo è quello dell'amore. E Gesù lo spiega
non solo con le parole quando afferma "Chi vuole essere grande tra voi si
farà vostro servitore", ma con la sua stessa vita. Dice di se stesso:
"Non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in
riscatto per molti". Così deve essere per ogni suo discepolo.
SILENZIO
MEDITAZIONE
Da
un’Omelia del Card. Giacomo Biffi
[…] Essere diaconi vuol dire essere "servi" anche e prima di tutto di
colui che solo è il Signore. Siamo tutti servi di Cristo: non tocca dunque a
noi definire il piano di salvezza e le sue modalità
sostanziali, ma a colui che è l'unico Salvatore; non tocca a noi individuare le
strade e i mezzi irrinunciabili e più efficaci dell'arte pastorale, che pur
siamo chiamati a esercitare, ma a colui che è il "Principe dei
pastori" (cfr. 1 Pt
5,4).
A noi tocca meditare
assiduamente la sua parola, assimilare la sua mentalità, cercar di capire i
suoi gusti - mantenersi insomma in una totale comunione con lui - in modo che
il nostro ministero appaia testimonianza trasparente dell'amore redentivo del Figlio di Dio crocifisso
e risorto, e sia strumento docile della sua azione di rinnovamento e di
santificazione.
Questa essenziale
"relatività" e dipendenza del lavoro apostolico, che è di quanti sono
irrevocabilmente segnati dall'ordine sacro, si specifica ulteriormente per voi:
il diacono - che pur è chiamato a istruire i fratelli
con l'annuncio evangelico, a scortarli sulla via del Regno di Dio, a
partecipare attivamente al conferimento del dono sacramentale - non è mai un
"protagonista autonomo" entro l'assemblea dei credenti: in tutto ciò
che fa nell'adempimento della sua missione, egli agisce costantemente in
connessione non solo col vescovo, che resta il suo riferimento primario, ma
anche col presbitero con cui collabora, e segnatamente col parroco del
territorio sul quale egli svolge la sua attività.
Appunto perché vi colloca
in posizione di servizio e di subordinazione, la prerogativa di cui venite ogni
insigniti non costituirà oggetto di molto apprezzamento e di molta invidia da
parte di chi non si lascia ispirare dalla fede nei suoi giudizi. Il
"mondo" anzi farà fatica a capirvi, dal momento che, persino con
quelle tra le sue iniziative che sembrano più altruistiche e disinteressate,
esso insegue quasi sempre il potere, il tornaconto, il
prestigio. Perciò non vi riuscirà facile intendervi con i vari dominatori della
scena sociale, perché voi siete e dovete sempre mantenervi
diversi.
Di tutto ciò il Signore
ci ha chiaramente avvertiti, quando ha detto: "I
capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su
di esse il potere, e in più si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia
così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa
come colui che serve" (cfr.
Mt 20,24; Lc
22,25-26).[…]
SILENZIO
MEDITAZIONE
CANTO
Dal
Vangelo secondo Giovanni (15, 9-17)
Come il Padre ha amato
me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se
osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato
i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia
sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi
comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo
padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che
ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io
ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e
portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete
al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando:
amatevi gli uni gli altri. Parola del Signore
Ass.
Lode a Te o Cristo
Da un Omelia del Vescovo Vincenzo Paglia
"Amiamoci
gli uni gli altri". E l'imperativo che l'apostolo
Giovanni non si stanca di rivolgere alla sua comunità. Egli sa bene
quanto l'amore sia centrale nella vita dei discepoli.
Lo ha appreso direttamente da Gesù. Ma più che da una
lezione teorica o da un'esortazione morale, Giovanni ne ha fatto l'esperienza
concreta. Ne ha potuto gustare la dolcezza e la tenerezza, ne ha visto la
radicalità e l'ampiezza che giungeva sino all'amore per i nemici anzi sino al
dono della stessa vita. Di questo amore Giovanni è
stato un testimone privilegiato, un custode attento e un predicatore sollecito.
[…]Per comprendere l'amore di Dio (l'agape) non bisogna partire da noi
stessi, dalle nostre speculazioni teoriche, dai nostri sentimenti o dalla
nostra psicologia ma, appunto, da Dio. Le Sante Scritture sono il documento
privilegiato per comprendere tale amore; esse infatti
non sono altro che la narrazione della vicenda storica dell'amore di Dio per
gli uomini. Pagina dopo pagina, nelle Sante Scritture scorgiamo un Dio che
sembra non darsi pace finché non trova riposo nel cuore dell'uomo. Potremmo
parafrasare per il Signore la nota frase che sant'Agostino
applicava all'uomo: "Inquietum
est cor meum...". Un sacerdote poeta, Davide
Maria Turoldo, ha parlato del "cuore inquieto di
Dio": egli è sceso sulla terra per cercare e salvare ciò che era perduto,
per dare la vita a ciò che non aveva più vita. E un Dio che si fa mendicante,
mendicante di amore. In verità, mentre Egli stende la
mano per chiedere amore lo dà agli uomini. Egli è lo
spirito che scende nella materia, è la luce che penetra nelle tenebre, per dare
vita, per spiritualizzare, per elevare e salvare. Questo è l'amore cristiano:
Dio che scende, gratuitamente, nel più basso per raggiungere l'amato. Sì, Dio è
inquieto finché non trova l'uomo. E lo è a tal punto
"da mandare il suo figlio unigenito perché chiunque crede in lui non
muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16).
L'amore di Dio, potremmo dire, "è in discesa", si abbassa
fino a giungere nel più profondo della vita degli uomini, e con una dedizione
totale, "sino a dare la vita per i propri amici" come Gesù stesso
dice. […] Se l'intera Scrittura è la
storia dell'amore di Dio sulla terra, i Vangeli ne mostrano il culmine. Perciò, se vogliamo balbettare qualcosa dell'amore di Dio,
se vogliamo dargli un volto e un nome, possiamo dire che l'amore è Gesù.
L'amore è tutto ciò che Gesù ha detto, vissuto, fatto, amato, patito... L'amore
è cercare i malati, è avere amici noti peccatori e peccatrici, samaritani e samaritane, gente lontana, nemica e rifiutata.
L'amore è dare la propria vita per tutti, è restare soli per non tradire il
Vangelo, è avere come primo compagno in paradiso un condannato a morte, il
ladro pentito... Questo è l'amore di Dio. Davvero
altra cosa dall'eros, impastato di egoismi, di
grettezze, degli sbalzi della nostra psicologia, dei nostri umori... Di tutto
ciò ne abbiamo abbastanza; dell'agape ne abbiamo estremo bisogno. Il vuoto
d'amore tra gli uomini sembra farsi più ampio e profondo, proprio mentre i
legami di affetto e di amicizia si rivelano più
fragili. […] Solo l'agape è come la roccia salda che ci risparmia dalla
distruzione, perché prima dell'io c'è l'altro. Gesù ce ne ha dato l'esempio
anzitutto con la sua stessa vita. Può dunque dire ai discepoli: "Come il
Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Gv 15, 9). Il rapporto esistente tra il Padre e il Figlio è
posto come modello e fonte dell'amore cristiano. Certo, non può nascere da noi
un tale amore, possiamo però riceverlo da Dio, se
accolto, ha una forza dirompente: fa crollare i muri cominciando da quelli che
costruiamo per difendere noi stessi, e apre il cuore e la vita verso una
fraternità ampia, universale, che non conosce nemici. Genera insomma una nuova
comunità di uomini e donne, ove l'amore di Dio si
incrocia, quasi sino all'identificazione, con l'amore vicendevole.
L'uno infatti è causa dell'altro. Un noto teologo russo amava
dire: "Non permettere che la tua anima dimentichi
questo motto degli antichi maestri dello spirito: dopo Dio considera ogni uomo
come Dio!". Questo tipo di amore è il segno
distintivo di chi è generato da Dio. Ma non è proprietà acquisita una volta per tutte, né appartiene di diritto a questo o a
quel gruppo. L'amore di Dio non conosce limiti e confini di nessun genere,
supera il tempo e lo spazio; infrange ogni barriera di razza, di cultura, di
nazione, persino di fede, come si legge negli Atti degli Apostoli quando lo
Spirito riempì anche la casa del pagano Comelio.
L'agape è eterna; tutto passa, persino la fede e la speranza, l'amore resta per
sempre, neppure la morte lo infrange, anzi è più forte di essa.
A ragione Gesù può concludere: "Questo vi ho
detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15,11).
SILENZIO
MEDITAZIONE
Da
un’Omelia del Card. Giacomo Biffi
Il diaconato nel linguaggio
ecclesiastico è definito un ordine "sacro". Che
cosa significa e che cosa comporta questa qualifica? Questa qualifica significa
che chi riceve l’ordine del diaconato, mediante l’imposizione delle
mani del vescovo, varca la soglia del santuario dell’Emmanuele, il Dio
che si fa presente e operoso in mezzo al suo popolo; e dunque si addentra in un
mistero grande ed emozionante: il mistero della prossimità, anzi
dell’immanenza soprannaturale e salvifica del Signore. Questa qualifica
comporta altresì che da tale incontro con la Divinità, l’uomo sia segnato
per sempre e diventi collaboratore speciale e permanente di colui
che è il "Santo"; e collaboratore proprio nell’opera di
riscatto, di elevazione, di santificazione degli uomini. Quando la creatura fa
un’esperienza ravvicinata del Divino si
sbigottisce e, se non è del tutto superficiale e insensibile, è prese
fortemente dal senso della sua indegnità e quasi della sua contaminazione. È
ciò che ha provato Isaia, quando si è trovato di fronte al Re
dell’universo, a colui che tutto domina con la
sua potenza e la sua infinità: "I lembi del suo manto riempivano il
tempio" e "della sua gloria è colma tutta la terra" (cf Is 6,1.3). La voce
dell’uomo sorpreso da un tale spettacolo non può che essere un gemito e
un grido di smarrimento: "Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle
labbra impure io sono!" (cf Is
6,5). […] Anche voi, carissimi candidati al
diaconato, percepite la trascendente grandezza di questo momento; e il vostro
animo, che pure è ormai ben temprato dalle varie vicende della vita, certamente
non è immune da un certo sgomento e da una certa preoccupazione. È giusto che
sia così; e io anzi mi auguro che conserviate un po’ di timore e di apprensione di fronte al mistero di Dio, anche quando
sarete lungamente assuefatti agli atti del ministero diaconale.
Ma nessuna vera paura vi deve oggi turbare. Il dono
sacramentale, che oggi vi viene conferito, è per se
stesso più efficace nel purificarvi che non il carbone ardente del serafino che
ha mondato le labbra del profeta; e, superando la vostra naturale povertà, vi
commisura alla sublimità del vostro compito. E poi non
siete soli. Non soltanto le vostre famiglie e le vostre comunità, ma tutta la
nostra Chiesa oggi vi sorregge con il suo affetto, vi
rasserena e vi incoraggia con la sua gioia, vi accompagna con la sua preghiera.
Il mistero cui oggi vi donate è un mistero di luce; e voi ministri di luce dovrete
farvi con l’annuncio del Vangelo, con l’insegnamento ai fedeli
della dottrina di Cristo, con il consiglio fraterno e autorevole a quanti sono
ancora alla ricerca della verità. Il mistero cui oggi vi donate
è un mistero di vita divina; e voi vi porrete completamente al servizio della
vita divina che si comunica agli uomini, mediante gli atti liturgici che vi competono,
soprattutto nutrendo i fratelli del Corpo e del Sangue del Signore. Il mistero
cui oggi vi donate è un mistero d’amore; e voi
siete mandati a richiamare, a tener desta, a esercitare la legge evangelica
della carità, in mezzo al popolo di Dio e in mezzo all’umanità confusa e
dolente che incontrerete. Sono doveri e mansioni che solleciteranno ogni giorno
la vostra generosità e il vostro spirito di sacrificio, perché vi si riconosca
davvero come "diaconi", cioè come discepoli
premurosi e come immagini autentiche e vive di Cristo, che è venuto non per
essere servito ma per servire. Vi dirò, prendendo a prestito le parole di San
Paolo: per grazia di Dio, carissimi, siete quello che siete;
e la sua grazia in noi non è stata vana (cf 1 Cor
15,10). Il Signore Gesù, di cui vorrete essere i
testimoni privilegiati e i ministri, è risorto e vi sarà sempre vicino. PurchÈ con la vostra azione diaconale
- oltre che con l’intero comportamento nella famiglia, sul lavoro, entro
la comunità cristiana - voi predichiate la sua morte
redentrice, annunciate la sua risurrezione rinnovatrice di tutto, attendiate
con fiducia il suo ritorno. Se quando verrà il Signore
vi troverà svegli e attivi nel ministero, in verità vi dico (è la sua stessa
stupefacente promessa): nel Regno dei cieli vi farà mettere a tavola e passerà
lui a servirvi. (cf Lc
12,37).
SILENZIO
MEDITAZIONE
CEL. :Dio
onnipotente,
sorgente di ogni grazia,
dispensatore di ogni ordine e ministero,
Tu
vivi in eterno
e tutto disponi e rinnovi
con la tua provvidenza di
Padre.
Per
mezzo del Verbo tuo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore,
tua potenza e sapienza,
compi nel tempo l’eterno
disegno del tuo amore.
Per
opera dello Spirito Santo
tu hai formato la Chiesa,
corpo del Cristo,
varia e molteplice nei suoi
carismi,
articolata e compatta nelle sue
membra;
così hai disposto che mediante i
tre gradi del ministero da
te istituito
cresca e si edifichi il nuovo
tempio come in antico scegliesti i figli di Levi
a servizio del tabernacolo
santo.
Agli
inizi della tua Chiesa gli Apostoli del tuo Figlio,
guidati dallo Spirito Santo,
scelsero sette uomini stimati dal
popolo, come collaboratori nel ministero.
Con
la preghiera e con l’imposizione delle mani
affidarono loro il servizio della
carità,
per potersi dedicare pienamente
all’orazione
a all’annunzio della
parola.
Padre
guarda con bontà i tuoi figli,
che saranno consacrati come
diaconi della Chiesa di Bologna
Ti
supplichiamo, o Signore,
effondi in loro lo Spirito Santo,
che li fortifichi con i sette
doni della tua grazia,
perché compiano fedelmente
l’opera del ministero.
Siano
pieni di ogni virtù:
sinceri nella carità,
premurosi verso i poveri e i deboli,
umili nel loro servizio,
retti e puri di cuore,
vigilanti e fedeli nello spirito.
L’esempio
della loro vita
sia un richiamo costante al
Vangelo
e susciti imitatori nel tuo
popolo santo.
Sostenuti
dalla coscienza del bene compiuto,
forti e perseveranti nella fede,
siano immagine del tuo Figlio,
che non venne per essere
servito ma per servire,
e giungano con lui alla
gloria del tuo regno. Amen.
REPOSIZIONE
PREGHIERA TUTTI INSIEME:
Santa
Maria, serva della Parola, serva a tal punto che, oltre ad ascoltarla e
custodirla, l'hai accolta incarnata nel Cristo, aiutaci
a mettere Gesù al centro della nostra vita.
Fa'
che ne sperimentiamo le suggestioni segrete. Dacci una mano perché sappiamo
essergli fedeli fino in fondo.
Donaci
la beatitudine di quei servi che egli, tornando nel cuore della notte, troverà
ancora svegli, e che, dopo essersi cinte le vesti, lui stesso farà mettere a
tavola e passerà a servire.
Fa'
che il Vangelo diventi la norma ispiratrice di ogni
nostra scelta quotidiana. Preservaci dalla tentazione di praticare sconti sulle
sue esigenti richieste. Rendici capaci di obbedienze
gaudiose.
E
metti, finalmente, le ali ai nostri piedi perché alla Parola possiamo rendere
il servizio missionario dell' annuncio, fino agli
estremi confini della terra.
Santa
Maria, serva del mondo, che, subito dopo esserti dichiarata ancella di Dio, sei
corsa a farti ancella di Elisabetta, conferisci ai
nostri passi la fretta premurosa con cui tu raggiungesti la città di Giuda,
simbolo di quel mondo di fronte al quale la Chiesa è chiamata a cingersi il
grembiule. Restituisci cadenze di gratuità al nostro servizio così spesso
contaminato dalle scorie dell'asservimento.
E
fa' che le ombre del potere non si allunghino mai sui
nostri offertori.
Tu
che hai sperimentato le tribolazioni dei poveri, aiutaci a mettere a loro
disposizione la nostra vita, con i gesti discreti del silenzio e non con gli
spot pubblicitari del protagonismo.
Rendici
consapevoli che, sotto le mentite spoglie degli affaticati e degli oppressi, si
nasconde il Re. Apri il nostro cuore alle sofferenze dei fratelli. E perché
possiamo essere pronti a intuirne le necessità, donaci
occhi gonfi di tenerezza e di speranza.
(del
Vescovo Tonino Bello)
CANTO
FINALE
APPENDICE
Beato GIOVANNI PAOLO II: UDIENZA GENERALE
del Mercoledì, 20
ottobre 1993
1. Tra le tematiche della catechesi sul diaconato, è particolarmente
importante e attraente quella che riguarda lo spirito del diaconato, che tocca
e coinvolge tutti coloro che ricevono questo sacramento per esercitarne le
funzioni secondo una dimensione evangelica. È questa la via che porta alla
perfezione cristiana i suoi ministri e permette loro di rendere un servizio (diaconia) veramente efficace nella Chiesa,
“al fine di edificare il Corpo di Cristo” (Ef 4, 12).
Scaturisce di qui la spiritualità diaconale,
che ha la sua sorgente in quella che il Concilio Vaticano II chiama
“grazia sacramentale del diaconato” (Ad Gentes,
16). Oltre ad essere un aiuto prezioso nel compimento delle varie
funzioni, essa incide profondamente nell’animo del Diacono impegnandolo
all’offerta, alla donazione di tutta la persona a servizio del Regno di
Dio nella Chiesa. Come è indicato dal termine stesso
di diaconato, ciò che caratterizza l’intimo sentire e volere di chi
riceve il sacramento è lo spirito di
servizio. Col diaconato si tende a realizzare
ciò che Gesù ha dichiarato in merito alla sua missione: “Il Figlio
dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua
vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45; Mt 20, 28).
Senza dubbio Gesù
rivolgeva queste parole ai Dodici, che egli destinava al sacerdozio, per far
loro comprendere che, anche se muniti dell’autorità da lui conferita,
essi dovevano comportarsi come lui, da servi.
Il monito vale, dunque, per tutti i ministri di Cristo; esso, tuttavia, ha un
particolare significato per i Diaconi, per i quali, in forza della
ordinazione, l’accento è posto espressamente su questo servizio.
Essi, che non dispongono dell’autorità pastorale
dei Sacerdoti, sono particolarmente destinati a manifestare,
nell’espletamento di tutte le loro funzioni, l’intenzione di
servire. Se il loro ministero è coerente con questo
spirito, essi mettono maggiormente in luce quel tratto qualificante del volto
di Cristo: il servizio. L’essere non solo “servi di Dio”, ma
anche dei propri fratelli.
2. È un insegnamento di
vita spirituale di origine evangelica, passato nella
prima tradizione cristiana come conferma quell’antico
testo che porta il nome di “Didascalia degli Apostoli” (sec. III).
I Diaconi vi sono incoraggiati a ispirarsi
all’episodio evangelico della lavanda dei piedi: “Se il Signore ha
fatto questo, – vi è scritto – voi Diaconi non esitate a farlo per
coloro che sono ammalati e infermi, perché voi siete operai della verità,
rivestiti dell’esempio di Cristo” (XVI, 36: ed. Connolly,
1904, p. 151). Il diaconato impegna alla sequela di Gesù in questo
atteggiamento di umile servizio che non s’esprime soltanto nelle
opere di carità, ma investe e modella tutto il modo di pensare e di agire.
In
questa prospettiva si comprende la condizione enunciata dal documento Sacrum Diaconatus
Ordinem per
l’ammissione di giovani alla formazione diaconale:
“Siano ammessi al tirocinio diaconale soltanto
quei giovani che abbiano manifestato una naturale propensione dello spirito al
servizio della sacra gerarchia e della comunità cristiana” (n. 8: Ench. Vat., II, 1378). La “naturale propensione” non deve essere intesa
nel senso di una semplice spontaneità delle disposizioni naturali, quantunque
anche questa sia un presupposto di cui tener conto. Si tratta di una
propensione della natura animata dalla grazia, con uno spirito di servizio che
conforma il comportamento umano a quello di Cristo. Il
sacramento del diaconato sviluppa questa propensione: rende il soggetto più
intimamente partecipe dello spirito di servizio di
Cristo, ne penetra la volontà con una speciale grazia, facendo sì che egli, in
tutto il suo comportamento, sia animato da una propensione
nuova al servizio dei fratelli.
Si tratta di un servizio
da rendere prima di tutto in forma di aiuto al Vescovo
e al Presbitero, sia nel culto liturgico che nell’apostolato. È appena
necessario osservare, qui, che chi fosse dominato da una mentalità di
contestazione, o di opposizione all’autorità non
potrebbe adempiere adeguatamente alle funzioni diaconali.
Il diaconato non può essere conferito che a coloro che
credono al valore della missione pastorale del Vescovo e del Presbitero,
e all’assistenza dello Spirito Santo che li guida nella loro attività e
nelle loro decisioni. In particolare va ripetuto che il Diacono deve
“professare al Vescovo riverenza ed obbedienza” (Ivi, 30: Ench. Vat., II, 1400).
Ma il servizio del Diacono è rivolto, poi,
alla propria comunità cristiana ed a tutta la Chiesa, per la quale non può non
nutrire un profondo attaccamento a motivo della sua missione e della sua
istituzione divina.
3. Il Concilio Vaticano
II parla anche dei doveri e degli
obblighi che i Diaconi assumono
in virtù di una propria partecipazione alla missione e alla grazia del supremo
sacerdozio: essi “servendo ai misteri di Cristo e della Chiesa, devono
mantenersi puri da ogni vizio e piacere a Dio e studiarsi di fare ogni genere di opere buone davanti agli uomini (cf.
1 Tm 3,
8-10. 12-13)” (Lumen Gentium,
41). È dunque, il loro, un dovere di testimonianza, che investe non solo il
loro servizio ed apostolato, ma tutta la loro vita.
Su questa responsabilità
e sugli obblighi che essa comporta, attira l’attenzione Paolo VI nel già
citato documento Sacrum Diaconatus Ordinem: “I Diaconi, come quelli che si
dedicano ai misteri di Cristo e della Chiesa, si astengano da qualsiasi cattiva
abitudine e procurino di essere sempre graditi a Dio, “pronti a qualunque
opera buona” per la salvezza degli uomini. A motivo, dunque,
dell’Ordine ricevuto, essi devono superare di gran
lunga tutti gli altri nella pratica della vita liturgica,
nell’amore alla preghiera, nel servizio divino, nell’esercizio
dell’obbedienza, della carità e della castità” (n. 25: Ench. Vat., II, 1395).
In particolare, per
quanto concerne la castità, i giovani che sono ordinati Diaconi
si impegnano a conservare il celibato e a condurre una vita di più intensa
unione con Cristo. In questo campo, anche coloro che sono
più anziani, “ricevuta l’ordinazione... sono inabili a contrarre
matrimonio in virtù della tradizionale disciplina ecclesiastica” (Ivi., 16: Ench. Vat.,
II, 1386).
4. Per soddisfare a
questi obblighi e, ancor più profondamente, per rispondere alle esigenze dello
spirito del diaconato con l’aiuto della grazia sacramentale, è richiesta
una pratica degli esercizi di vita spirituale, che la Lettera apostolica di
Paolo VI così enuncia: 1) si dedichino assiduamente alla lettura e
all’intima meditazione della parola di Dio; 2) spesso, o anche ogni
giorno, partecipino attivamente al sacrificio della Messa, si ristorino
spiritualmente con il sacramento della SS. Eucaristia e ad esso
devotamente rendano visita; 3) purifichino frequentemente la propria anima con
il sacramento della Penitenza e, al fine di riceverlo più degnamente, ogni
giorno esaminino la propria coscienza; 4) con intenso esercizio di filiale
pietà venerino e amino la Vergine Maria, Madre di Dio (cf.
Ivi, 26: Ench. Vat.,
II, 1396).
“È cosa sommamente
conveniente che i diaconi stabilmente costituiti recitino ogni giorno almeno
una parte dell’Ufficio divino, da stabilirsi dalla Conferenza
episcopale” (Ivi, 27: Ench. Vat., II, 1397). Le stesse
Conferenze Episcopali hanno il compito di stabilire norme più particolari per
la vita dei Diaconi, secondo le condizioni dei luoghi e dei tempi.
Infine, per chi riceve il
diaconato vi è un obbligo di formazione dottrinale permanente, che perfezioni e
attualizzi sempre più quella richiesta prima dell’ordinazione: “I
Diaconi non interrompano gli studi, particolarmente quelli sacri; leggano
assiduamente i libri divini della Scrittura; si dedichino
all’apprendimento delle discipline ecclesiastiche in modo da poter
rettamente esporre agli altri la dottrina cattolica e divenire sempre più
capaci di istruire e rafforzare gli animi dei fedeli.
A tal fine, i diaconi siano invitati a partecipare ai convegni periodici in cui
vengono affrontati e trattati problemi relativi alla
loro vita e al sacro ministero” (Ivi,
29: Ench. Vat., II, 1399).
5. La catechesi sul
diaconato, che ho voluto svolgere per tracciare il quadro completo della
gerarchia ecclesiastica, mette dunque in risalto ciò che in quest’Ordine,
come in quelli del Presbiterato e dell’Episcopato, è di somma importanza:
una specifica partecipazione spirituale al Sacerdozio di Cristo e
l’impegno della vita nella conformità a Lui sotto l’azione dello
Spirito Santo. Non posso concludere senza ricordare
che anche i Diaconi, come i Presbiteri e i Vescovi, impegnati nella via del
servizio al seguito di Cristo, sono associati più specialmente al Sacrificio
redentore, secondo la massima formulata da Gesù nel parlare ai Dodici del
Figlio dell’uomo, venuto per “servire e dare la sua vita in
riscatto per molti” (Mc
10, 45). I Diaconi sono dunque chiamati a partecipare al mistero della Croce, a
condividere la sofferenze della Chiesa, a soffrire
dell’ostilità che la colpisce, in unione con Cristo Redentore. È
quest’aspetto doloroso del servizio diaconale è
ciò che lo rende più fecondo.
Dalla
LETTERA APOSTOLICA MOTU PROPRIO SACRUM
DIACONATUS del Servo di Dio Papa Paolo VI
n. 22. A
norma della citata Costituzione del Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, spetta al diacono, secondo che l'Ordinario del
luogo gli abbia commesso di attendere a tali funzioni:
1) assistere, durante le azioni liturgiche, il vescovo ed il sacerdote per
tutto ciò che, secondo le prescrizioni dei diversi libri rituali, gli compete;
2) amministrare solennemente il battesimo e supplire alle cerimonie
eventualmente omesse nel conferimento di esso ai bambini e agli adulti;
3) conservare l'Eucaristia, distribuirla a sé e agli altri, portarla come
viatico ai moribondi e impartire al popolo con la sacra pisside la cosiddetta
benedizione eucaristica;
4) assistere ai matrimoni e benedirli, in nome della Chiesa, per delega del
vescovo o del parroco, qualora manchi il sacerdote, nel rispetto di quanto
stabilito nel CIC (Cf cann.
1095 § 2 e 1096) e valido restando il canone 1098 le cui prescrizioni, in ciò
che si riferisce al sacerdote, devono ritenersi estese anche al diacono;
5) amministrare i sacramentali, presiedere ai riti funebri e di sepoltura;
6) leggere ai fedeli i divini libri della Scrittura e istruire e animare il
popolo;
7) presiedere ai servizi del culto e alle preghiere ove non sia presente il
sacerdote;
8) dirigere le celebrazioni della parola di Dio, soprattutto quando manchi il
sacerdote;
9) esercitare, in nome della Gerarchia, i doveri della carità e
dell'amministrazione, nonché le opere di servizio
sociale;
10) guidare legittimamente, in nome del parroco e del vescovo, comunità
cristiane disperse;
11) promuovere e sostenere le attività apostoliche dei laici.
23. Tutte queste funzioni devono essere compiute in perfetta comunione con il
vescovo e con il suo presbiterio, cioè sotto
l'autorità del vescovo e del sacerdote che, nel territorio, presiedono alla
cura delle anime.
24. I diaconi, per quanto possibile, siano ammessi a far parte dei Consigli
Pastorali.